L’eleganza del riccio, il romanzo scritto da Muriel Barbery nel 2006 e che in Italia nel 2008 occupò la prima posizione nelle vendite, è la storia della lotta tra apparenza ed essenza, una lotta che viviamo quotidianamente, tra chi siamochi vorremmo essere e come vorremmo che gli altri ci considerassimo. In questo affanno ad essere chi non siamo e a nascondere chi siamo, barattiamo la nostra essenza per un briciolo di apparenza, per non dare nell’occhio, perché rimanere all’interno di uno stereotipo è più sicuro che mostrarsi per ciò che realmente siamo.

È così per le protagoniste del libro L’eleganza del riccioRenée Michel Paloma Josse. Conosciamole meglio. Renée fa la portinaia al numero 7 di rue Grenelle, un condominio al centro di Parigi abitato da famiglie facoltose, la maggior parte prive di apparenza. Sembra che ognuno, in quel condominio, reciti un ruolo consono alla propria etichetta. La donna ricca che ostenta i suoi pregi e i suoi averi, una bambina – che poi vedremo essere Paloma – che cerca di tenere nascosta la propria sensibilità e intelligenza per adattarsi al ruolo di “ragazzina”. In tutti questi giochi di ruolo, anche Renée recita il suo per non venire meno ai pregiudizi che si celano dietro il lavoro, rispettabilissimo, di portinaia. Lei è estremamente colta: legge molto, il televisore è un mero strumento per distogliere l’attenzione da questa intelligenza, si interessa di musica classica, arte, filosofia e cinema. È unappassionata di cultura giapponese, ma tiene per sé tutte queste passioni. Non vuole tradire le aspettative delle persone.

È proprio così. Siamo soliti, noi tutti, crearci delle aspettative su chi vediamo, su chi abbiamo accanto, su chi ci vende il pane o ci apre la portiera della macchina. Tendiamo a giudicare qualcuno secondo un senso comune che ha più insensatezza di qualsiasi altro nonsense esistente al mondo. Ma torniamo a L’eleganza del riccio: perché Renée non vuole tradire il senso comune? Forse per paura? Forse sarebbero troppe le giustificazioni da dover dare? Forse è per un senso di colpa che non vuole vivere la fortuna a seguito di un incontro con un nuovo condomino del ricco palazzo, un signore giapponese di nome Kakuro Ozu? I sensi di colpa: quante volte questi ci guidano nelle scelte, e spesso, questi sensi di colpa nemmeno hanno senso di esistere e lo sa bene Ozu, che osserva lanima della portinaia che rompe ogni senso comune.

Vediamo come nel corso del romanzo si alternano due punti di vista. Cè quello della portinaia, che nel raccontare come trascorre le sue giornate, descrive le vite di chi, tra un’ostentazione e l’altra, tesse la trama di un piccolo microcosmo all’interno di un macrocosmo. Una vera e propria dicotomia tra l’essere e lapparire, che la ragazzina Paloma evidenzia molto bene, nell’altro punto di vista del romanzo. Attraverso i suoi “pensieri profondi” e il “diario del movimento del mondo” ci viene offerta  la visione dell’essenza che scava nell’apparenza alla ricerca di ciò che muove tutti noi. Paloma non sente di riuscire a vivere in tutta questa messa in scena di vite-non-vere e per questo è ferma nella decisione che emerge già dalle prime righe de L’eleganza del riccio: vuole suicidarsi nel giorno del suo dodicesimo compleanno. Un gesto forte contro la mediocrità nella quale è immersa fin dalla nascita, che fa  perdere il fulcro del senso della vita, che altro non è che la reale ricerca dell’essenza grazie al rapporto con gli altri. È come se, attraverso il proprio suicidio, Paloma, “giudice dell’umanità“, voglia risvegliare nei genitori – o svegliare per la prima volta – la consapevolezza che le loro vite non si esauriscono in un giro su se stessi, ma che si espandono, fondendosi, nelle vite degli altri.

L’autrice del romanzo L’eleganza del riccio, attraverso i suoi personaggi, vuole rompere, denunciando, il profondo narcisismo che governa le vite di ognuno di noi. Quanto, infatti, la nostra società è ripiegata in se stessa non curandosi delle essenze che vengono così perse? In cosa può esserci utile l’omologazione? Non rappresenta una forma di soffocamento delle qualità individuali? E un essere umano che dimentica le proprie qualità, non è un essere umano vuoto? È proprio a questo senso di vuoto che i protagonisti de L’eleganza del riccio vogliono sfuggire, e lo fanno indossando la propria essenza, seppur lo facciano in segreto.

Lascio a L’eleganza del riccio stesso il resto del racconto, accennando solo al fatto che a volte, solo l’inaspettato ci aiuta a cambiare prospettiva e a comprendere che «il bello è ciò che cogliamo mentre sta passando. È l’effimera configurazione delle cose nel momento in cui ne vedi insieme la bellezza e la morte», perché senza aver mai perso, non sapremmo mai cosa vuol dire vincere.

Madame Michel ha l’eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti.

Filosofa Atipica per ArtSpecialDay

Share
663 views