Nella fretta di cercare un posto nel mondo, ha dimenticato – volutamente – i sogni sul comodino.
Si è vestita di corsa, con le prime – e uniche – cose grigie trovate nel fondo dell’armadio. È stato un po’ difficile trovarle in mezzo a tutto quell’arcobaleno. Fino a qualche tempo prima, infatti, il grigio era solo un colore nella gamma infinita di sfumature. Non viaggiava da solo, non viveva da solo sulla sua pelle, ma faceva parte di un tutto. Ora, le pare di aver capito, che il grigio – da solo – è il colore giusto per far parte di questo mondo: discreto, anonimo, adatto.
Lei voleva sentirsi adatta e il grigio – forse – l’avrebbe aiutata ad esserlo. Prima, con tutti i suoi colori strani, sgargianti, inusuali, era difficile trovarle un posto.
I colori fanno paura, le idee ancora di più.
Era troppo stanca di sentirsi esclusa, sempre diversa, sempre strana. Troppo ribelle, troppo pensierosa. Doveva cambiare, doveva essere più simile a loro. Doveva indossare il grigio sul corpo e nella mente. Non c’era spazio per la leggerezza. Non capiva bene, allora, per cosa c’era spazio, ma di sicuro non per tutto quello che la faceva sentire viva, come i sogni, i colori o le idee.
Chissà se ci renderemo mai conto che non dovremo evitare il colore, i sogni, se vogliamo far parte del mondo, ma che è tutto il resto che dovrebbe accogliere colore e sogni, per vivere bene.
Ma questa – per ora – è un’altra storia.
La fretta che lei si metteva nel vivere le sue giornate era voluta. Se avesse rallentato, anche solo di un istante, si sarebbe resa conto della direzione che stava facendo prendere alla sua vita, e di sicuro questo, non l’avrebbe fatta felice. Il problema era che – nonostante questa fretta, questo non pensare – lei felice non lo era lo stesso. Non era nemmeno infelice, e forse questo era un problema ancora più grande. Semplicemente apatica.
Cosa c’è di più terribile di un’anima colorata che diventa apatica? Quel grigio che aveva iniziato ad indossare, le stava scolorendo nel petto, e piano piano, quella che doveva essere una parentesi, stava diventando la sua vita.
Le sue giornate erano una corsa senza senso. Provava un affanno che non aveva nome. I capelli erano all’apparenza ordinati, ma alla radice disordinati. Non era di certo l’amore che li scompigliava. I pensieri, che partivano direttamente dalla sua mente, arrivavano alla punta dei suoi capelli fino ad intrecciarsi con le sue dita. Lei provava così ad intrecciare velocemente, facendo a gara con i suoi pensieri. L’importante era che, ogni piccolo minuto, fosse impiegato a fare. Cosa non lo aveva capito, ma non doveva fermarsi. Non doveva pensare, non doveva dar spazio a quella voglia di sognare.
Apatica. A furia di correre, anestetizzando completamente le sue emozioni, la sua mente non le inviava più quei piccoli segnali generati dai particolari. Così lei, spenta, grigia, apatica, aveva trovato un piccolo posto nel mondo. Le avevano fatto un po’ di spazio, quel che basta per portarci dentro superficialità e yes incondizionati. Non c’era spazio per nient’altro.
Passava così le sue giornate, aspettando la sera per andare a dormire. Dove era finita quella voglia di rimanere svegli? Dove era finita la voglia di alzarsi e rendersi felici?
Un giorno, mentre era seduta alla scrivania di casa sua, con le orecchie impegnate in infinite riunioni, si girò a guardare il termosifone di quella stanza. Una goccia scendeva da quella valvola. Come cadeva una goccia a terra, subito ne arrivava un’altra. E un’altra ancora. Il termosifone perdeva goccia a goccia, come lei perdeva sogni a sogni.
La goccia che cadeva a terra, i suoi sogni volutamente dimenticati sul comodino. La goccia che cadeva a terra, lei che non sapeva più rialzarsi.
Improvvisamente non sentiva più quelle persone che fino a poco tempo prima le affollavano la mente. Ora riusciva solo a percepire il flebile rumore che quella goccia faceva toccando a terra. Quel rumore diventava sempre più forte, nonostante quella goccia avesse sempre la stessa intensità, sempre lo stesso ritmo.
Erano i suoi pensieri che iniziavano a non essere più intrappolati alla radice dei suoi capelli, tra le sue dita. Era la sua mente che tornava a farsi spazio tra la fretta, tra le voci, tra le chiacchiere. Erano i particolari che tornavano a colpire gli occhi.
Era il colore che tornava nella sua vita e come quella goccia, che cadendo a terra provava a vivere, così i suoi sogni, sul comodino, iniziarono ad urlare.
Filosofa Atipica
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