C’era una volta una vita che chiedeva di essere vissuta.
C’era una volta una vita che, sentendosi sprecata, decise di tentare la libertà.
E così, rischiò.
Ci sono storie che parlano ai cuori, prima ancora che alla mente.
Non nasciamo con un manuale del vivere bene e se lo avessimo, non saremo comunque in grado di seguirlo. Noi esseri umani siamo i razionali a cui piace complicarsi la vita.
Questa è una storia particolare, di una ragazza che diventò speciale, nel momento in cui decise di esserlo.
Non tutti hanno la fortuna di nascere nel mondo della possibilità di essere felice.
Lei nacque dove il passato non era mai passato, non era mai stato chiuso, gravando su quella nuova vita che, da bambina felice e solare, fu costretta a crescere velocemente.
Nella fretta di chi non si curò di tenerla al sicuro, lei, che collezionava leggerezza, a poco a poco si spense.
Buttò in un cassonetto i suoi sogni, chi di dovere avrebbe poi pensato a spazzarli via, differenziando attentamente quelli impossibili da realizzare – voleva tanto volare – da quelli possibili – essere amata, ma soprattutto, ascoltata.
Nella fretta di chi avrebbe dovuto pensare a lei, quella piccola bambina, che faceva delle sconfitte un sorriso di esistenza, una mattina fu abbandonata dalla fantasia. Un meccanismo unico che tante volte l’aveva aiutata, facendola viaggiare con la mente verso la speranza che il futuro potesse essere scelto da lei.
Mentre preparava il latte, però, una mattina come tante, la fantasia la lasciò sola.
Le cadde una tazzina di caffè a terra.
Quell’inchiostro che la gente beveva, e che lei si limitava solo a preparare, le sporcò il pigiama.
Non rise, lei che riusciva sempre a trovare il lato leggero della vita, cominciò a piangere.
È come se, il caffè versato addosso ai suoi indumenti, fosse un dolore per quella vita delicata, come se le avesse sporcato l’esistenza più che una maglia.
Pianse la sua fantasia che l’aveva abbandonata, pianse il calore che non aveva, pianse il destino che l’aveva tradita, pianse la speranza che si sgretolò insieme ai frantumi della tazzina.
Guardò quei frammenti e si sentì come loro: a terra, tradita da chi si sarebbe dovuto prendere cura di lei, tradita senza una spiegazione.
Mentre la tazzina cadeva, lei evitava i cocci e intanto si feriva il cuore.
Il tempo passava e il sorriso su quel volto scompariva.
In potenza era speciale, in atto aveva paura.
Era presente al mondo, e in tutta quella bellezza nascosta, era assente a se stessa.
C’era qualcosa che la bloccava, qualcosa che le negava la possibilità di volare, qualcosa che le impediva di essere felice.
Il suo passato, quello che non aveva scelto, che senza scontrino, non poteva rimandare indietro, la condizionava a tal punto che, tutte le gioie e i dolori della sua vita, esistevano in relazione ad esso, e avendo passato più dolori che gioie, aveva un presente logoro e una prospettiva di futuro incerta.
I suoi giorni procedevano così, nella fretta di chi non si rendeva conto di averle spezzato la vita.
Quelle rare volte in cui scioglieva le sue braccia conserte che rappresentavano il suo stare al mondo, sognava di vivere al mare, quella distesa che le asciugava gli occhi quando il dolore era troppo forte, quella distesa era lì a regalarle frammenti di gioia.
Cos’è la felicità se non momenti di serenità da strappare al cielo? Lei lo sapeva bene, quando con il cuore a brandelli, si sedeva sulla sabbia a giocare con i pensieri.
Voleva combattere, darsi la possibilità di un presente diverso, felice, soprattutto ora che, con sofferenza e senso di colpa immeritato, poteva dirsi davvero libera da un passato che, con la scusa del dolore, dimenticò di amarla.
La libertà, molto spesso però, non è solo fisica.
La libertà che tanto desiderava era mentale.
Voleva distaccarsi da quel mondo fatto di parole vuote che non l’avevano mai protetta. Come potersi salvare? Ne aveva provate tante, era stanca, e mentre stanca si rotolava sulla sabbia cercando riparo da se stessa, la sua mano sfiorò qualcosa.
Ancora con gli occhi chiusi, capì che si trattava di una bottiglia di vetro.
Senza fantasia, ma con curiosità, guardò meglio di cosa si trattasse. Nella bottiglia c’era un foglio.
Si guardò intorno, non c’era nessuno.
Le sembrò di vivere un film, per un attimo fu presa dal dubbio che fosse uno scherzo, lei così insicura di tutto, lei che non era sicura nemmeno di meritare la felicità.
Eppure non c’era nessuno.
Aprì e sentì un colpo al cuore nel vedere quelle parole danzarle sotto gli occhi. Quella scrittura era la sua, la sua di quando era piccola e credeva nella forza dei sogni.
Tornò con la mente a una vita fa, in un giorno come tanti, in cui decise di giocare con il mondo.
«Carissima te che leggi, io sono una bambina,
ma so che ci saranno giorni in cui il mondo ti schiaccerà così tanto,
da chiederti se ne vale la pena.
Guarda il mare, avrai la risposta.»
Le scese una lacrima lungo il volto, la fantasia tornò da lei, flebile, come se avesse dovuto lottare contro l’inferno, ma era lì, di nuovo.
Si abbracciarono come fanno due sguardi di chi si amano lontano senza saperlo, in silenzio, lontani dall’inquinamento del mondo.
Respirò come se fosse la prima volta che sentiva i suoi polmoni nello sterno. Quel giorno pensò che per tutta la sua vita, avesse trattenuto il respiro.
Aprendo i polmoni, distese la mente e cominciò a liberarsi.
La vita di ognuno di noi è costituita da frammenti. Gioia e dolori che conserviamo nel cuore.
Spesso il nostro passato ci condiziona, ma ci sono coincidenze – come per lei quella frase – che ci conferiscono una forza diversa.
La forza di chi comprende che la felicità arriva, a chi sa aspettare, a chi ha il coraggio di rischiare il cambiamento.
Quel giorno si promise di andare a vivere al mare, non per sfuggire, ma per ricominciare, libera da un passato che non l’avrebbe più condizionata.
Si promise un presente diverso, e nel farlo, finalmente sorrise, insieme alla sua fantasia.
Filosofa Atipica
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