“Non je la faccio più”

Anche oggi ho un discreto martello conficcato nell’occhio. Emicrania, stupendo.
Mi sveglio ogni giorno come se avessi una manciata di anni in più.
Sono sempre più stanca, che cavolo!

Sono le 8 e dovrei uscire di casa, ho di nuovo la seduta dal chiropratico. Sto aspettando il mio miracolo. Devo mettermi in fila.

Passiamo la vita a fare la fila e non arriviamo mai. Ci risiamo: maledetta filosofia.

Esco alle 8:20. Sono stanca, arriverò più tardi. Non sarò la prima. Non mi importa, non lo sono mai stata.

Sto per entrare in clinica quando vedo una donna guardare il cellulare e con voce sostenuta “Non je la faccio più, non je la faccio più“. Il secondo era quasi urlato. La guardo, lei non sa nemmeno che esisto, è agitata. È stanca. Deve aver ricevuto l’ennesima notizia complicata. Tiro un sospiro. Mi fa male il cuore. Maledetta empatia.

Scendo le scale. Mi siedo. Non sono la prima. Guardo a terra. Le strisce gialle e nere mi dovrebbero indicare qualcosa. Un pericolo, una discesa. Io mi ci perdo.

3 minuti. Finito. Sono fuori.

Ho il tempo di fare una piccola spesa, prima della solita routine in cui butto la mia vita in otto ore di centrifuga insensata.

Prendo poche cose e mi metto in fila. Di nuovo. Non sono nemmeno due ore che sono sveglia, e sono già alla seconda fila della giornata. Va bene.

La fila qui è strana. Arrivo che è un’unica fila, man mano che avanzo di posto diventa Cerbero. Una fila a tre teste e io che non decido mai che pizza voglio, figurarsi se riesco a prendere posizione. Di solito mi lascio trascinare dagli eventi. Così come alla fine ordino sempre una margherita, così rimango sempre nella fila che mi sembra essere la normale continuazione del posto in cui l’ho iniziata.

Non tutti sono però così. Alcuni prendono posizione scegliendo la fila più corta, più veloce. In fondo in queste strane file non si crea una gerarchia, quindi ci sentiamo in diritto di scegliere il posto non guardandoci intorno. Così fa una persona poco più avanti a me. Prende posizione. Un’altra persona, che è vicina a questa nella fila senza gerarchia, non è proprio d’accordo. “Ecco vedi, subito a passare avanti. Che pazienza, che pazienza“. La seconda ripetizione è quasi urlata.

Non sono nemmeno due ore che sono sveglia e ho già incontrato due persone nervose, che quasi lo urlano al mondo. Tiro un sospiro. Questa volta sono seccata. Mi danno fastidio le file a tre teste, mi danno fastidio le persone che prendono posizione non curandosi dell’altro, mi danno fastidio le persone che giudicano chi prende posizione senza chiedersi perché l’ha fatto.

Sono seccata, ma io non lo urlo. Lo tengo per me. Anzi, sorrido alla persona che ho vicino. Non voglio che pensi che le griderei contro se prendesse posizione, ma non vorrei nemmeno che lei prendesse posizione non curandosi di me.

Risolvo il problema alla radice: le cedo il posto. “Ha solo due cose, non si preoccupi” le dico, in realtà sto preservando il mio cuore, ma anche questo lo tengo per me.

Finalmente è il mio turno. Preparo la busta, ma sono più lenta dei prodotti che fanno bip bip. Si accumulano alla fine della cassa. Inizio a metterli con un senso, poi lascio stare il senso e mi chiedo per tutto il tragitto se le uova si sentono bene.

Oggi non mi sento ribelle, quindi attraverso la strada come un bravo pedone. Sono sulle strisce. Una macchina in doppia fila mi leva la visuale. Uno ci prova anche ad essere bravo, ma poi. Vabbè fa nulla. Tiro un terzo sospiro. Lasciamo stare. Avanzo un po’, quel che basta per capire se ora può essere il mio turno per passare.

Stop.

Inchiodo. Anche la macchina che stava per passare inchioda. Ci guardiamo. Nessuna scena da stallo alla messicana. Ci siamo spaventati entrambi. Lui aveva fretta, io non riuscivo a vedere. Chi ha la colpa? Che importa, stiamo bene. Andiamo avanti.

Mi ritornano in mente le strisce gialle e nere che ho visto nemmeno mezz’ora fa. Quelle che ci segnalano un pericolo, quelle che ci dovrebbero spingere a rallentare.

Rallentare.

Mi perdo nei miei pensieri come prima mi ero persa tra quelle strisce gialle e nere.

Rallentare.

Non lo sappiamo più fare.

Fermarci.

Quello ancora meno.

Dobbiamo correre sempre, metterci in fila, cercare quella più veloce. Superare, prendere posizione, arrabbiarci. Quante cose dobbiamo fare per una sola vita.

Non sono nemmeno due ore che sono in piedi e faccio già il quarto sospiro.

Sarà davvero una lunga giornata.

Filosofa Atipica

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