Ogni periodo storico ha le sue incertezze, le sue difficoltà e i suoi limiti: il nostro sembra essere il tempo delle incertezze mascherato dalle fallacie
Ogni epoca, ogni tempo ha i suoi limiti, i suoi difetti, così come i suoi pregi. Volendo ravvisare una costante del tempo e quindi delle varie epoche storiche, questa costante è l’essere umano. Da sempre ci si interroga sulla natura dell’uomo: una natura rapace, un uomo lupo, un uomo che necessita di leggi per controllarsi.
Dalle varie domande senza risposte certe, arriviamo ad oggi, nel 2016, a ridosso del 2017 con un essere umano immerso in un progresso tecnologico senza precedenti, ma sempre con l’animo ambiguo. Si definisce “ambiguo” l’animo dell’uomo perché da sempre compie azioni per nulla trasparenti, non sempre sono fine a se stesse, ma mirate sempre a qualcos’altro, e purtroppo – molto spesso – mirano contro qualcun altro, o “nei migliori dei casi” questo “altro” è il mezzo, lo strumento, per un determinato fine, un fine che spesso non ci rende nobili.
Reificazione dell’essere, reificazione dell’essere umano, tutto questo ci porta a costruire rapporti sterili, legami ad intermittenza, emozioni forti, ma quasi mai vere, narcisismo estremo, una chiusura intersoggettiva che si manifesta in tutti gli ambiti della vita, da quella privata a quella sociale, e che non fa altro che aumentare la frattura che l’uomo contemporaneo sta vivendo e sta costruendo.
Il mondo costruito sulle incertezze
Siamo il riflesso del nostro passato, siamo la conseguenza delle nostre azioni, siamo il mondo che ci volta le spalle. Viviamo un’incertezza costante, un’incertezza nata dalla finta consapevolezza di una politica che, con la promessa di fare del bene universale, ha fatto i propri interessi. Un’incertezza che tocca vari ambiti, quello privato, quello pubblico, che colpisce come cittadini, come individui, come esseri umani.
Come già detto, ogni tempo ha i suoi limiti, i suoi difetti, e riflettendo sul nostro presente, si può osservare come, oggi più che mai, siamo immersi in un mare di fallacie logiche che nascondono al loro interno un futuro instabile, un presente di insicurezze. Queste fallacie logiche nascondono un governo narcisista che non cura gli interessi del popolo, che relega agli antipodi i più deboli, che non risolleva le questioni di un paese che sta perdendo la propria identità. In questo presente più che mai, si assiste ad un disinteresse generalizzato, un disinteresse che si cerca di mascherare nel modo più elegante possibile.
Riflettendo sulla politica ci si rende conto di come questo discorso non sia una mera riflessione, ma di come sia più concreta che mai. La nostra politica non è limpida, non è accessibile e la causa risiede in parte nella nostra ignoranza e poca voglia di informarci davvero, in parte in chi ci governa che sembra studiare ad hoc un linguaggio che si renda il meno accessibile possibile, così da non permettere eventuali contrasti.
L’altro limite – nostro che non riflettiamo e della politica che si veste di apparenza – è che si tende a rendere tutto nella miglior forma possibile, ma non si spiega dove questa forma voglia andare a colpire. Si parla di cambiamenti, non spiegando quale voglia essere la direzione. Si parla di tagli alla politica, ma poi si taglia all’istruzione e tutte le promesse, rimangono solo parole. Continuando a riflettere su questo mondo di incertezze, e di un futuro instabile, non può che non saltare alla mente la riforma del Jobs Act, una riforma che si presenta con un linguaggio impeccabile, ma che al suo interno lascia numerosi punti oscuri e soprattutto ci presenta qualcosa di illusorio. Nel Jobs Act si presenta la possibilità di un lavoro solo se si è disposti ad essere flessibili, ma essere flessibili vuol dire essere persone che non riflettono e che passivamente accettano.
Il nostro presente è il tempo della flessibilità, tanto da dimenticare che il tratto biologico che ci contraddistingue è la plasticità, il saper cambiare e adattarci consapevolmente. Questo linguaggio così elegante mirato a presentarci il prodotto di un mondo finto lo si ritrova negli annunci di lavoro. Annunci di lavoro ambigui, annunci di lavoro che rispecchiano l’incertezza di paese che non sa che direzione sta prendendo.
L’incertezza maggiore risiede nella scuola. Professori e maestri che non hanno la certezza di continuare lì dove hanno iniziato, che vivono una precarietà costante e una prospettiva futura oscura. Questo si riversa irreparabilmente sugli studenti, che non avranno la garanzia di una continuità di un professore e quindi di un metodo di studio. La conseguenza di ciò sarà l’esistenza di studenti sempre meno appassionati alla cultura e più lontani quindi dalla riflessione.
Essere giovani oggi vuol dire cedere i nostri sogni in cambio di un posto che non esiste, e se esistesse, non si potrebbe considerare “sicuro”, perché nulla oggi sembra esserlo, a qualsiasi età. Essere giovani oggi vuol dire non avere garanzie di un futuro stabile, vuol dire dover lottare contro un sistema di governo che non è chiaro, che non ci ascolta.
Essere giovani oggi vuol dire convivere con appellativi come choosy, come bamboccioni, solo perché dopo anni di studi e sacrifici vorremo coronare il sogno di diventare ciò per cui abbiamo dato tanto tra i banchi delle università. E in tutta questa incertezza generale, in questo finto equilibrio, si percepisce il bisogno di un cambiamento vero, che sia fatto di parole che indichino la vera direzione, che sia fatto di azioni volte al benessere davvero universale.
Bisogna ripensare la politica e il motivo per cui la si fa, solo da lì è possibile creare un futuro solido.
Filosofa Atipica per 2duerighe
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