Nelle nostre società, un’entità che si chiama mercato
ci promette piacere e felicità in cambio della perdita di qualcosa
di simile all’anima e che si chiama sistema dei valori.
Lamberto Maffei
Velocemente scorro le dita lungo la tastiera, non ha tempo, il mondo, per dedicarmi tempo. Avrete già chiuso la pagina perché guardando l’orologio – «eroe del nostro tempo» (L. Maffei, L’elogio della lentezza, il Mulino, 2014) – vedrete che la corsa delle lancette non vi aspetta e non si arresta.
Uso troppo parole nel mondo che ne vuole poche ed essenziali? Corriamo che il tempo sta per scadere, non perdiamoci in chiacchiere. E quindi abbasso la letteratura, abbasso la filosofia, abbasso l’arte, abbasso la matematica, tutto questo non lo si può mica applicare nel nostro mondo iper-produttivo, quindi via dalle nostre menti. E chi ci governa, senza che noi ce ne rendiamo conto, ci strappa via il pensiero lento che poi ci fa essere critici e ci fa vedere che la velocità in cui siamo immersi non ci appartiene e sia mai che poi smettiamo di essere parte dell’ingranaggio della macchina globale.
Sarà un caso che si hanno numerosi tagli all’educazione scolastica? La scuola è forse quell’entità che ha il compito di formare individui in grado di pensare autonomamente e criticamente?
In tutta questa frenesia «il problema della lentezza si affaccia alla mente con prepotenza» a chi ci ricorda che l’evoluzione del cervello umano ha la caratteristica della lentezza, anche se la quotidianità che ne fa dimenticare.
Maffei nell’Elogio della lentezza analizza proprio la società di oggi tesa alla velocità, provocando un omicidio del pensiero lento che caratterizza da secoli l’uomo, rendendolo l’animale razionale che “dovrebbe essere”. Il danno provocato dalla società che promuove un pensiero rapido – o digitale – è che ciò comporti «soluzioni e comportamenti errati, danni all’educazione e […] al vivere civile» generando nell’uomo l’illusione che possa comandare sulla natura. L’invito di Maffei è quello di «riconsiderare le potenzialità del cosiddetto “pensiero lento”» basato sul linguaggio e la scrittura anche e soprattutto in ambito scolastico. Non è da dimenticare che la caratteristica principale del nostro cervello è la plasticità, grazie alla quale esso ha la possibilità di cambiare funzionamento e struttura in relazione a ciò che vive: nasciamo con un cervello dei geni che si forma durante la gestazione e poi si determina il cervello dell’individuo attraverso le esperienze vissute, una formazione che avviene sotto le regole della vita, ma anche della volontà. Tutto questo segue il processo lento e allo stesso modo «si diventa vecchi e si muove con la strategia della lentezza». La lentezza ci permette di imprimere un’impronta personale sullo sviluppo del proprio cervello e per questo sono necessari gli stimoli esterni, offerti in primis dai genitori che hanno la responsabilità delle nuove generazioni. Noi siamo investiti di responsabilità prima ancora di ogni cosa – ci ricorda Lévinas in Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Jaca Book, Milano, 1983 – ma troppo ce ne dimentichiamo, smettendo di essere responsabili verso i nostri figli, verso gli anziani, spesso lasciati alla mercé del mondo perché visti come un peso in quanto «non è utile investire risorse economiche» su di essi. Noi siamo la somma del pensiero veloce e lento, accantonando la seconda modalità non facciamo altro che un danno a noi stessi.
Viviamo nel mondo della tecnologia, dei tweet, veloci, essenziali e vuoti di vero significato. Abbiamo perso il senso e non ce ne interessiamo, ma se per caso ci sono “spunte blu” senza risposta se ne fa una questione di vita o di morte. Mangiamo nei fast food perché meccanicamente siamo spinti a rimetterci a lavoro il prima possibile. Non scriviamo lettere di addio, ma aggiorniamo lo stato su una piattaforma multimediale; non piangiamo davvero, ma fotografiamo una lacrima.
Ci spostiamo velocemente e distrattamente, superiamo il mare non ammirando le onde, ma troviamo tempo per un selfie in autostrada anche se potrebbe essere l’ultimo. Questo processo tecnologico ha determinato «una rivoluzione […] del pensiero, e cioè un’accelerazione del tempo» provocando una disarmonia tra il progresso della scienza e la percezione a livello del cittadino: i prodotti si rinnovano con una rapidità tale per cui l’individuo deve affrettarsi ad apprendere nuove tecnologie, ma così facendo si ha la percezione che i giorni sono più corti. Nemmeno le relazioni affettive si salvano in questa corsa contro non si sa cosa: matrimoni lampo, innamoramenti a intermittenza, tutto dura meno di un attimo, non ci si ferma a parlare perché si deve scappare, impedendo così che quella relazioni lasci tracce significative e importanti per la nostra personalità.
Tutti noi siamo impassibili di fronte la morte del nostro pensiero lento, acquisiamo notizie che la televisione propugna, ci accontentiamo non domandandoci più se la verità sia lì o altrove.
E in tutta questa velocità il nostro caro governo non fa altro che prendere decisioni in maniera veloce, non badando alle conseguenze, agendo come fosse un animale senza razionalità.
Le decisioni, figlie di un pensiero veloce, e quindi irrazionale, non saranno forse la causa della crisi – non solo di valori – in cui ormai siamo immersi?
Filosofa Atipica per MIfacciodiCultura
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