Lunedì mattina.
Dovrei già mettere un punto e non continuare.
Continuo.

Emicrania. Stamattina a deliziarmi con il suo bel dolore è l’occhio sinistro.

Sono le 8 di mattina. Esco, vado dal chiropratico. Sono una trentenne nel corpo di una simpatica vecchina, però a me rode il culo.

Santo smart working, così posso farmi scrocchiare l’anima prima di iniziare a lavorare. Lo adoro questo chiropratico, mi sembra di fare un salto in un mondo parallelo fatto di cracgood morning e musica di ogni genere. Questo salto dura 3 minuti.

Sono già fuori questa diversa realtà, di nuovo nella nostra. “Mmm”, penso.

Non è cambiato nulla, né il mondo, né il mal di testa. Ho fatto 20 sedute e io il miracolo ancora non ce l’ho avuto. Aspetterò.

Mi incammino di nuovo verso casa con il mio martello conficcato nell’occhio. Macchine in tripla fila con genitori che lanciano i figli a scuola: “Corri su è tardi, prendi lo zaino“. Iniziamo a respirare l’arte del ritardo già da piccoli, e poi ci stupiamo che da adulti abbiamo sempre l’affanno.

8:30. Prendo un cappuccino. Iniziano i vari riti del rimedi fai da te per il mal di testa. Giro lo zucchero al ritmo dei miei pensieri. Non stanno zitti un attimo. Maledetta filosofia.

Torno a casa. Sistemo la postazione di lavoro che per due giorni era tornata ad essere solo il tavolo della sala.

Si inizia.

“Mi raccomando, ogni 2 ore fare 15 minuti di pausa”, mi sembra fosse così la filastrocca che ci insegnano e che, come ogni filastrocca, diventa una bella melodia da canticchiare sotto la doccia.

Mi concedo una pausa di 3 minuti contati. Sono le 10.27 e alle 10.30 ho una riunione. Accendo il caffé, che a me nemmeno piace, ma rientra nei riti sopra.

Apro lo sportello della cucina.

Crac.

Stavolta il rumore non viene dalle mie ossa.

Era inevitabile. Lo sapevano quelli che ci vivevano prima di me, e lo so ormai pure io che questo sportello si stacca ogni due per tre. I vecchi proprietari si erano ingegnati con una vite a sostenere il lavoro di tutto un meccanismo. La prima volta che avevo sentito quel crac sono stata a contemplare il modo geniale con cui lo aveva accroccato. L’ho studiato e fatto mio. Ormai ci metto mezzo minuto a riaccroccarlo.

All’inizio avevo trovato tutto questo estremamente romantico. Mi faceva pensare a quella storia che un tempo le cose rotte non si buttavano, ma si aggiustavano, così si dava valore alle cose, alle relazioni, invece oggi… Invece oggi è uno schifo. Non funziona? Lo ricompro. È rotto? Lo butto. È triste? Lo lascio.

In questi anni ho quindi rimesso quella vite, in quello stesso modo, dolcemente, come se così stessi facendo davvero qualcosa di buono, come se davvero così stessi dando valore, non so, all’amore? Alla pazienza?

Crac.

Stamattina ho trovato questa storia irritante. Ho solo tre minuti, il caffé tra poco è pronto e io sono con il giravite in mano. Di certo questo non è tra i punti del rimedi fai da te per il mal di testa. Devo impiegare questo mezzo minuto, dei tre che ho, a rimettere su una vite perché a me – e i vecchi proprietari – trovare una soluzione sembrava troppo complicato.

Sistemare, trovare una soluzione per gli intoppi quotidiani ci sembra sempre troppo faticoso, preferiamo  mettere una toppa. Forse la storia del dover aggiustare è vera in parte. Non dovremo usarla per ogni aspetto della nostra vita. A volte dovremo solo fermarci, razionalizzare, pensare e renderci conto che dobbiamo lasciare. Buttare. Ricomprare. Ricominciare.

Chissà.

Guardo lo sportello, guardo quel meccanismo spezzato proprio nel suo cuore, e guardo quella vite. Poverina – penso mentre comincio a sentire l’odore del caffé – questa vite è costretta a sostenere un lavoro per cui non è stata creata, un lavoro che non sente suo. Magari lo fa anche discretamente bene, in fondo sono tanti anni che è con me, e chissà quanti prima, ma è inevitabile che – randomicamente – senta tutto il peso addosso. E niente, non ce la fa.

Crac.

Penso a noi. A quanto ci sforziamo tutti i giorni per essere diversi, lontani dalla nostra essenza, e più vicini all’apparenza che si aspettano. Penso ai genitori in tripla fila, che magari vorrebbero solo dare un bacio ai figli. Penso ai figli che in fretta devono prendere lo zaino e invece vorrebbero solo fare colazione in un orario fuori dalla routine. Penso al mio chiropratico, che è una vita che fa miracoli, e ora non ci riesce.

10:30. Basta filosofia. Ho bevuto il caffè. L’emicrania è ancora lì. E anche la vite, nello sportello. Di nuovo.

Filosofa Atipica

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