«Un amico è dove smetti di nascondere le tue ferite.»
Viveve a squarciagola. Un viaggio in India è un altro romanzo dell’artista Gio Evan. In questo libro – tratto da un racconto autobiografico – possiamo leggere il viaggio di Leon che decide di scappare in India:
«Scappare è solo una corsa che non ha deciso dove andare […] è contrario di viaggiare. Viaggiare dà importanza alla destinazione […], mentre scappare si concentra sul luogo che lasciamo, è abbandonare immediatamente il posto in cui ci troviamo. Non importa il luogo che si raggiunge, non è questione di luogo, scappare è questione di togliersi di dosso il passato e basta.»
Leon scappa dall’Europa, scappa da quello che gli altri vorrebbero per lui. Scappa dalle circostanze, dalle frasi fatte, dai luoghi comuni. Leon vuole essere più che apparire. In questo senso, scappare è indice di cominciare a vivere davvero. Dalle pagine di questo romanzo è chiaro come per Leon – e non solo – il termine scappare è negativo solo per noi occidentali, per noi europei, che nasciamo e viviamo con la convinzione che noi siamo la nostra casa, la nostra macchina, il nostro lavoro, i nostri averi. Così ci viene insegnato che scappare è da vigliacchi, che scappa solo chi si arrende. Ci viene insegnato che nelle cose che possediamo vive il nostro valore, che in tutti quegli oggetti c’è il senso della nostra vita.
Per Leon invece scappare ha tutto un altro significato. Scappare “è solo correre più veloce di tutto quello che gli altri vorrebbero da te, vorrebbero per te“. In questo senso, scappare è abbandonare la concezione per cui tutto quello che abbiamo in termini di cose sia tutto quello che significhiamo. Non è così e Leon ne ha la conferma attraverso questo viaggio in India.
Leon rimane senza scarpe, ma non senza fede nel domani, nel cammino, negli altri. Leon si apre completamente – non senza difficoltà – a ciò che lo circonda, all’invisibile che si rivelerà più visibile di come tutti possono pensare.
Leon farà molte esperienze, vivrà l’India come tutti noi dovremo fare, imparerà molte cose, non la consapevolezza che non imparerà mai tutto, che ogni giorno è un buon giorno per imparare. Leon imparerà che la curcuma non è solo una spezia, che “fare il silenzio” ci fa innamorare, che la rinuncia è una conquista e non un sacrificio.
Per tutti noi che siamo sempre abituati a ricevere e a dare solo se abbiamo la promessa di qualcosa in cambio, tutto questo modo di fare, di vivere, sembra impossibile, addirittura assurdo. Leggendo il romanzo di Gio Evan, io invece ho trovato questo modo di essere genuino, vero. Vorrei saperlo fare mio, vorrei poter davvero vivere sempre di essenza, ma il problema è che ci sentiremo sempre gocce in un oceano, e questo, fino a che ci spaventerà, sarà il nostro limite.
Leggendo Gio Evan mi sono sentita capita come solo un vero amico sa fare. Sono riuscita a non nascondere le mie ferite – per riprendere la citazione di questa recensione – sono riuscita a mettermi in contatto davvero con me stessa, a chiedermi cosa ci fosse di sbagliato, o semplicemente non vero nella mia vita e sono un po’ riuscita a rispondermi, un po’ a farmi altre infinite domande.
Vi auguro di trovare un po’ di domande e di risposte se vi lascerete andare a questa lettura, vi auguro di trovare un po’ di senso, un po’ di voi, un po’ di noi.
Domani noccioline, Salute
Filosofa Atipica
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